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Istituto di Psicologia Somatorelazionale

Fondato e diretto da Luciano Marchino

"L'OMBRA E IL CORPO" DI K.E.BROWN

16 Ottobre 2017

In questo saggio inedito l'autrice analizza in modo originale e con uno sguardo al femminile i rapporti tra la teoria psicodinamica di Malcom Brown nell'idea che l'unità organismica di corpo e mente richieda un rapporto funzionale tra le dimensioni conscie e inconscie del corpo e della psiche. L'analisi di alcune sedute di psicologia organismica con una paziente mostrano i modi creativi in cui la sintesi delle posizioni teorico-pratiche di Jung e di Brown possa essere usata per capire i fenomeni del corpo-mente e facilitare il ristabilirsi della totalità organismica. Katherine Brown riprende il concetto junghiano di ombra, le parti inaccettabili o non sviluppate della personalità, e mette in evidenza come questo metodo terapeutico offra delle eccellenti opportunità per una ristrutturazione dell'io, includendo nella sua esposizione gli effetti distruttivi dell'ombra del terapeuta nella relazione con il cliente. In appendice l'impegno dell'autrice a fare in modo che la psicoterapia corporea non trascuri l'anima e la femminilità nella considerazione che la vita sia in fondo il luogo dove si costruisce l'anima.

 

Katherine Ennis Brown (1927 – 2006), psicologa umanista, ha praticato il massaggio terapeutico basato sul metodo della “sensory awarness” in Atlanta, a Barkley i Italia ed è stata Direttrice del St.Joseph's Infirmary Day Care Center in Atlanta, dal 1966 al 1994; dal 1975 al 1994 è stata Co-Direttore dell'European Institute of Organismic Psychotherapy, mentre dal 1994 in poi è stata Co-Direttore dell'USA Organismic Psychotherapy Training.

 

 

PREFAZIONE

di Luciano Marchino

 

Con questo libro Katherine Ennis Brown rende un importante servizio tanto alla psicoterapia contemporanea quanto, lo spero vivamente, alle psicoterapie del futuro. 

 

Mettendo vis a vis il metodo di suo marito Malcolm con la più nota e già ampiamente apprezzata psicologia analitica di Carl Jung, ne dimostra non solo la complementarietà – l’una sottolinea sopratutto gli aspetti psicodinamici, l’altra la dimensione energetica e somatica - , ma l’evidente sinergismo e porta in primo piano l’importanza di confrontare , nel qui e ora del divenire teoretico, tutte le tradizioni fortemente radicate nell’osservazione clinica. Deve essere l’evidenza dei fatti a dimostrare la sostenibilità dei costrutti teorici che altrimenti finiscono col dialogare solo con se stessi, allontanandosi progressivamente dalla realtà delle cose Sono stato a lungo preoccupato riguardo alla trasmissibilità della visione organismica dei Brown a causa della complessità dell’unico volume, di grande densità teorica e clinica, pubblicato da Malcolm Brown e soprattutto dell’irriducibilità dell’esperienza somatorelazionale nei confini ristretti della sua esprimibilità attraverso la parola detta o scritta. Entriamo qui, da un lato, nella difficoltà descrittiva tout court che imporrebbe al clinico le capacità proprie del letterato se non del poeta, dall’altro nella non reperibilità di certi tipi di informazioni a chi non abbia sviluppato organi adatti a riceverle. Come non si può descrivere adeguatamente l’intensità di un tramonto a un non vedente o la passionalità di un brano musicale a chi non può sentire, così è impossibile descrivere la profondità e la pervasività di certe esperienze somatoemotive a chi non le abbia in qualche modo potuto conoscere. In “Alice nel paese delle meraviglie” Lewis Carrol descrive un incontro tra Alice e il Gatto del Paraguai, la cui caratteristica è di apparire un pezzo alla volta: 

 

… quando notò una curiosa apparizione nell’aria: dapprincipio la cosa la sorprese molto ma dopo aver guardato attentamente un minuto o due, scoprì che si trattava di un ghigno e disse a se stessa: “Questo è il Gatto del Paraguai. Ora, se Dio vuole, ho qualcuno con cui discorrere” “Come và?” chiese il Gatto, non appena fu apparso quel tanto di bocca che era indispensabile per parlare. Alice aspettò che comparissero gli occhi e poi fece un cenno di saluto. “E inutile parlargli – pensava - , finchè non sono venuti fuori gli orecchi, o perlomeno uno di essi… 

 

È la situazione di noi occidentali contemporanei, del tutto desueti a frequentare il corpo con la continuità e la profondità necessari a comprendere l’impatto del contatto corporeo diretto in ambito psicoterapeutico. La rimozione dell’esperienza corporea , presente in maggiore o minor misura in tutti, pone senz’altro un filtro, più o meno invalidante, alla percezione della realtà psicorporea interiore. 

 

Katherine, ricordando nel testo la teoria dell’armatura caratteriale, originariamente descritta da Wilhelm Reich, ma approfondita da Brown in modo originale, ci fornisce un importante argomento di riflessione: quando siamo liberi noi, ora, di percepire il flusso della vita che siamo, in tutte le sue sfumature e quanto invece vi abbiamo rinunciato, in un passato ormai remoto, per adeguarci a uno stile relazionale che tuttora antepone l’addestramento al sociale allo sviluppo della soggettività individuale? 

 

Esperimenti recenti hanno dimostrato come un bambino che non sia stato toccato amorevolmente nella prima infanzia non produrrà, nel ricevere più tardi una carezza, gli stessi neurotrasmettitori di un bambino coccolato al tempo in modo più adeguato. Di conseguenza, divenuti adulti il loro sapere sarà diverso perchè diverso sarà il loro sentire e diversi saranno i neurotrasmettitori portatori di senso che informeranno la sua coscienza. 

 

Katherine pone l’uno accanto all’altro i costrutti di due pensatori illustri e, si vedano anche le rispettive autobiografie, di due persone che hanno vissuto intensamente l’emergere della propria ombra alla superficie della consapevolezza e che hanno potuto constatare, per esperienza diretta, che “ciò che è razionalmente corretto è un concetto troppo ristretto per afferrare la vita nella sua totalità e darle un’espressione”. 

 

La trentennale esperienza clinica, di cui l’autrice ci offre un accurato frammento nella quarta parte di quest’opera, l’ha portata a definire l’obiettivo del suo lavoro di psicoterapeuta organismica come ”aiutare il paziente a sanare la divisione o almeno a ridurre lo iato tra la dimensione conscia e inconscia del suo corpo e psiche”. Non le sfugge peraltro la problematicità di introdurre la dimensione corporea in psicoterapia. Facendo riferimento a Smith ricorda che “la psicoterapeuta orientata al corpo è ancora una posizione minoritaria e, come spesso accade con le minoranze, diventa bersaglio di incomprensione e di calunnie”. Dopo tanti anni di pratica clinica attraverso il contatto diretto e di analisi junghiana vissuta come paziente e come allieva, rileva con sconcerto come Jung in La struttura della psiche dimentichi stranamente di includere il tatto tra le percezioni sensoriali attraverso cui diventiamo consapevoli del mondo e ricorda che, secondo Montagne, “c’è una legge embriologica generale che dice che quanto prima si sviluppa una funzione tanto più sarà fondamentale”. Sta di fatto che le capacità della pelle sono tra quelle più basilari e che la pelle come organo del tatto è il primo dei sensi che si sviluppa nell’embrione e a otto settimane, quando l’embrione non ha ancora né occhi né orecchie, la pelle è già altamente sviluppata. 

 

Della tematica del contatto diretto in psicoterapia si è occupato, con acume e competenza, Mauro Pini sostenendo tra l’altro che la generalizzazione delle regole dell’astinenza al contatto fisico non erotico, anziché fondarsi su solide argomentazioni di carattere clinico, e meno che mai empirico, rappresenta la conseguenza di una serie di contingenze storiche culturali legate ad un quadro di riferimento datato, che nel tempo ha assunto i connotati immutabili del dogma, creando negli analisti un atteggiamento più vicino alla fede che ai metodi della scienza. 

 

Il contatto diretto nutritivo non erotico, come ribadirà Katherine nel testo, costituisce uno degli elementi cardine del metodo oganismico, ma la sensibilità del terapeuta, gli aspetti transferali e controtransferali e l’intenzione tanto del terapeuta che del paziente, costituiscono una nebulosa impenetrabile tanto alla trascrizione linguistica che alla razionalizzazione meccanicista e vanno affrontati, di volta in volta, nel divenire dell’esperienza, affidandosi tanto all’intuizione del terapeuta, temperata dall’esperienza e dalla competenza, quanto a quella del paziente, primo testimone dei propri vissuti. 

 

A differenza di altri autori Malcolm Brown ha affrontato, sin dall’inizio, la dimensione olistica dell’individuo, parola quest’ultima che significa non diviso e, nel nostro caso, non frammentato in singole funzioni per pura comodità analitica. Il processo analitico, infatti, presuppone anzitutto la frammentazione dell’oggetto di studio, poi lo studio dei singoli frammenti e quindi la loro ricomposizione in un tutto che non solo non è più l’originale, ma ne differisce, più o meno grossolanamente, anche nella ricostruzione. 

 

Immaginate di volere studiare un vaso antico e ricco di storia per comprenderlo profondamente e immaginate di farlo, prima di tutto spezzandolo per conoscerne meglio i singoli frammenti. Forse riuscirete a rimettere insieme i cocci, ma il risultato sarà stato anzitutto di avere creato nuovi solchi e nuove ferite nella sua struttura e poi di avergli imposto un metodo che nega il valore della totalità perchè non sa come affrontarla. Considerazioni analoghe muovono i critici del metodo analitico quando sottolineano la differenza tra analisi e terapia: la prima orientata a una raccolta di dati, la seconda alla modificazione di uno stato dell’essere. 

 

Malcolm Brown terapeuta, preferisce accostare l’individuo nella sua complessità olistica, con il rispetto e la cura di un attento restauratore, il cui compito è quello di restituire al soggetto il suo antico splendore, piuttosto che compiacersi di averlo capito profondamente nei suoi frammenti. Secondo lui, quando un paziente entra nel nostro studio egli rappresenta sempre un intero, che noi abbiamo il dovere di rispettare e di comprendere nella sua interezza, aspettando il tempo necessario a consentirgli di portare alla luce il proprio splendore e originalità, senza mai correre il rischio di danneggiarli o di distorcerli sovraimponendo la sapienza del nostro metodo alla saggezza della sua natura. Ritroviamo qui quello che è forse l’elemento più importante e più fortemente distintivo dell’approccio umanistico di Carl Rogers, l’atteggiamento positivo incondizionato, che insieme all’empatia e alla congruenza costituisce un irrinunciabile caposaldo dell’approccio che Brown ha applicato, forse per primo, al campo delle psicoterapie somatorelazionali. 

 

Nella visione di Brown è proprio la qualità dell’armonia interiore a distinguere lo stato di salute (grazia in Lowen) dal disagio esperienziale della nevrosi. Se la coerenza interiore risulta alterata da eventi patogenetici, va perso quello che Brown vede come il principio guida della vita di tutti noi: la tendenza dell’individuo alla propria autorealizzazione, cioè al pieno sviluppo e alla piena attuazione delle proprie potenzialità. Ritroviamo nelle sue posizioni un atteggiamento che ci rimanda alla nozione rogersiana di tendenza attualizzante, ma non possiamo non notare, al tempo stesso, le analogie con l’esperienza del core propria del pensiero reichiano e con la triade di Lowen: conosci te stesso, esprimi te stesso, realizza te stesso. Siamo su tutt’altro pianeta rispetto alle pretese di normalizzare il paziente. 

 

Tracciato questo sfondo risalta in primo piano la descrizione dei quattro centri ontologici dell’Essere che, secondo Mauro Pini, “esprime il tentativo di Brown di ancorare nella dimensione carnale della corporeità i fondamenti strutturali del Sé” poiché l’attività psichica quando viene disconnessa dalla dimensione corporea assume i tratti di una modalità compulsiva dominata dai circuiti corticospinali chiusi che, secondo Brown, non consentono più alcuna possibilità evolutiva e la cui chiusura, quindi, consiste anzitutto in una chiusura esperienziale al nuovo. È questo stato dell’essere che chiede di essere modificato perchè i circuiti corticospinali chiusi sono parte del substrato strutturale dell’armatura caratteromuscolare e ne garantiscono il 

 

predominio sulla totalità dell’Essere. Ai quattro centri dinamici Katherine dedica un importante capitolo del libro riuscendo a riassumere con chiarezza la visione del marito. Credo che nessuno meglio di lei possa svolgere questo compito. Manca invece, per motivi di contesto, un’attenta disamina dei temi connessi al contatto corporeo diretto in psicoterapia ed è un peccato perchè la posizione dei Brown è unica anche all’interno del campo delle psicoterapie a orientamento corporeo. In nessuno dei principali approcci, a me noti, è presa in adeguata considerazione l’importanza di un’esperienza emozionale correttiva mediata dal contatto diretto che possa fornire al paziente, nell’immediata certezza esperienziale della seduta terapeutica, la soddisfazione reale dei bisogni di amore e di attenzione precedentemente disattesi. L’esperienza qualitativa diretta che il paziente riceve dalla vicinanza fisica e dal contatto con la carne del proprio terapeuta o, come nel caso dei Brown, di una coppia di terapeuti, porta alla luce qualcosa che non è dato esperire da adulti per altre vie. Se, nelle fantasie deliranti di intere generazioni di psicoanalisti e di psicologi di altre discipline, il contatto corporeo tra paziente e terapeuta è sempre e solo finalizzato all’appagamento erotico di quest’ultimo, i Brown hanno dimostrato, lavorando direttamente sul corpo con centinaia di psicoterapeuti, che sono stati prima loro pazienti e poi loro allievi, che il contatto corporeo diretto non erotico è non solo praticabile, ma indispensabile per restituire alle persone il senso della loro ricerca. In assenza di valide esperienze relazionali correttive la ricerca del paziente rimane altrimenti erratica , cioè nevrotica e disfunzionale, perché egli “non sa più”, non ha mai saputo, oppure ha perso il senso (sensazione, sentimento e significato) di ciò che gli è mancato. Non sapendo più di cosa è in cerca, finisce allora per muoversi nel mondo in modo incoerente, provocando sofferenza tanto a se stesso che a coloro che gli stanno intorno. 

 

Dice Katherine: 

La ricerca interiore di totalità è un viaggio solitario, ma che non può essere compiuto in solitudine.… Fissare l’ignoto e l’oscuro dentro di sé è un’impresa terrificante… quando anche il terapeuta si è sottoposto a questo processo fornisce una prova evidente che è possibile sopravvivervi e le emanazioni di simpatia dal terapeuta verso il paziente gli forniscono il supporto esterno di cui ha un bisogno estremo. 

 

Niente più del contatto corporeo diretto permette la riparazione di ciò che fu spezzato e l’appagamento dei bisogni disattesi del Sé. La sua potenza sta nell’insostituibilità del corpo con la parola: frasi come “ti sono vicino”, “sono con te”, “ti comprendo” sono solo il pallido sostituto dell’immediatezza di un abbraccio. Quando il bambino interiore, risvegliato dall’incubo che credeva essere la sua vita, si rivolge alla madre/terapeuta in preda al terrore niente può sostituire la verità della carne che lo accoglie e lo consola al di là delle parole. Katherine, una grande madre, e Malcolm, un grande terapeuta, hanno riportato all’evidenza questa verità con cui lo psicoterapeuta somatorelazionale non può più evitare di confrontarsi. 

Una verità ancora scomoda per coloro che pretendono di reintrodurre il corpo in psicoterapia senza mai incontrarlo veramente. 

 

 

Bibliografia 

 

  • Brown M., Il contatto terapeutico. Introduzione alla psicoterapia organistica, Melusine, Roma 1995. 
  • Brown M., Primordial regression and fulfillng sex. An autobiographical account, Author House, Bloomigton 2005. 
  • Carrol L., Alice nel paese delle meraviglie, Bompiani, Milano 1968. 
  • Goldstein K., Il concetto di salute e altri scritti, ETS, Pisa 2006. 
  • Jung C. G., Ricordi, sogni, riflessioni, Rizzoli, Milano 1978. 
  • Pini M. (a cura di), Psicoterapia corporeo organistica, Franco Angeli, Milano 2001.

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Scarica la prefazione del libro a questo link:
http://www.biosofia.it/files/articolo/2017/Prefazione_di_Luciano_Marchino_al_libro_L_ombra_e_il_corpo_di_KE_Brown.pdf